Le omissioni nella compilazione della cartella clinica che rendono impossibile l’individuazione del nesso di causalità materiale non conducono immediatamente a ritenere adempiuto l’onere probatorio da parte del paziente, anche se bisogna tenere conto, altrimenti l’incompletezza gioverebbe a colui che, non essendo stato diligente, ha provocato tale incompletezza.
Ma vediamo nello specifico cosa vuole affermare il Tribunale di Cosenza.
La corretta redazione e conservazione della cartella clinica è sinonimo di diligenza professionale del medico e invece all’opposto la cattiva e lacunosa tenuta di questo documento dà vita a sanzioni piuttosto gravi con profili penali, disciplinari e civili.
La cartella clinica redatta da un medico di un ospedale pubblico è un atto pubblico che ha la funzione di diario del decorso della malattia e di altri fatti clinici rilevanti e i fatti devono essere annotati contestualmente al loro verificarsi.
Secondo giurisprudenza penale quindi tutte le modifiche, le aggiunte, le alterazioni, le cancellazioni e le omissioni della cartella clinica integrano falsità in atto pubblico e quindi punibili in quanto tali.
Integra in particolare modo il reato di falso materiale in atto pubblico anche l’alterazione di una cartella clinica tramite l’aggiunta successiva di una annotazione, anche se vera, non rilevando che il soggetto agisca per ristabilire la verità, perché la cartella clinica acquista carattere definitivo in relazione a ogni singola annotazione e non è più disponibile dal suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata.
Riassumendo, la cartella clinica è un documento in cui le annotazioni devono avvenire contestualmente al suo verificarsi.
Allo stesso modo anche la scheda operatoria è un atto che attesta sia le fasi che le modalità di svolgimento dell’attività chirurgica, sia il suo svolgimento secondo le competenze dei sanitari impiegati, conseguentemente la falsa attestazione integra il delitto di falsità ideologica commessa da un pubblico ufficiale in atto pubblico.
A completamento di quanto detto, si può ricordare l’art. 26 del Codice di deontologia medica prevede che il medico rediga la cartella clinica come documento essenziale dell’evento ricovero con “completezza e chiarezza” e che le eventuali correzioni debbano essere motivate e sottoscritte.
Inoltre il medico deve riportare in cartella i dati anamnestici e quelli obiettivi relativi alla condizione clinica e alle attività diagnostico-terapeutiche; deve registrare il decorso clinico nel suo contestuale manifestarsi o pianificazione delle cure in caso di malattia progressiva, garantendo la tracciabilità della sua redazione.
Dando poi uno sguardo alla responsabilità civile e del riparto dell’onere probatorio, possiamo affermare che la lacunosa tenuta della cartella clinica non può pregiudicare il paziente, al quale, per il principio di vicinanza della prova, bisogna ricorrere a presunzione se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato.
Ovviamente la cartella clinica incompleta è una circostanza che il Giudice non può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un nesso causale tra l’operato del medico e il danno subito dal paziente, quando sia impossibile accertare il nesso eziologico e il medico abbia tenuto una condotta solo astrattamente idonea a cagionare il danno.
Insomma l’incompletezza della cartella clinica ha rilevanza quando va a innescarsi in un contesto specifico che è proprio la fonte della sua rilevanza.
L’incompletezza della cartella clinica va a favore di chi deduce di essere stato danneggiato altrimenti la stessa finirebbe per favorire chi, non essendo stato diligente, ha causato quella lacuna, diversamente ostativa la riconoscimento della sua responsabilità.
In conclusione si può dire che il medico ha l’obbligo di controllare la competenza e l’esattezza delle cartelle cliniche e dei relativi referti allegati, la cui violazione comporta la configurazione di un difetto di diligenza rispetto alla previsione generale contenuta nell’art. 1176, secondo comma, cod. civ. e quindi un inesatto adempimento della sua prestazione professionale.
Quindi in presenza di omissioni nella compilazione della documentazione sanitaria, il paziente che agisce in giudizio contro la struttura o un medico può, per provare le accuse, ricorrere a presunzione di responsabilità del convenuto.
Nel caso si sospetti un caso di malasanità si dovrà richiedere la copia (possibilmente in coma digitale) della cartella clinica e di tutti gli esami strumentali (Tac, RX, Rmn, etc.) per sottoporli a degli specialisti che sapranno individuare un’eventuale medical malpractice
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Dott.ssa Veronica Lupi